Solo pochi giorni sono passati dal 6 ottobre scorso in cui, presso il Bar degli Artisti a Roma, ho avuto l’onore di dialogare con l’amica Loredana Aureli sulla sua ultima fatica letteraria, Pane, amore e pandemia. Leggere il suo libro per me è stato come tornare indietro nel tempo. No, non mi riferisco al tempo della pandemia ma a quel periodo in cui credevo che le favole potessero avverarsi e viversi.
Io credevo molto nelle favole. Non è detto che non ci creda adesso, però oggi è molto più difficile viverle. In un quinquennio, 2018-2023 (dal primo incontro con Loredana per il suo Roma in rima), molte cose nella mia vita sono cambiate e, fra queste, la sua conoscenza ha contribuito a modificare alcune di queste in meglio.
Mi spiego. Scrivo mentre i vari tg che ho seguito negli ultimi giorni non hanno fatto altro che incentrare la loro comunicazione sulla guerra, dalla Russia all’Ucraina e, ora, Hamas contro Israele (e non possiamo certo dimenticare tutte le altre guerre in giro per il mondo). Se solo volessi fermarmi alle guerre, la situazione sulla nostra bella Terra sarebbe già catastrofica.
Loredana ha, a suo modo, descritto anche lei una guerra in Pane, amore e pandemia, la guerra del Covid e, benché parlare di guerra non sia mai tanto facile, è riuscita a farlo con una leggerezza che per me non ha eguali, straordinaria. Le paure, le sofferenze e le ansie di quel periodo, nella sua storia, le ha sapute vestire con colori dai toni rilassanti, e in essa si alternano momenti divertenti, comici e di pura riflessione sui tanti e contrastanti momenti di quegli anni.
Ciò è dovuto innanzitutto alla sua personale scelta di raccontare il Covid, lunghi momenti di difficoltà che ha dovuto affrontare in prima persona. E lo ha fatto creando dei complici, dei personaggi che, grazie alla sua fine sensibilità di scrittrice e di artista, hanno ben rappresentato ciascuno di noi alle prese con le preoccupazioni e le ansie derivanti dall’angoscia della malattia.
Tuttavia, nel calderone dei dolori che la pandemia ha seminato qua e là, Loredana riesce a destare nell’animo del lettore la serenità, il buonumore, benché si conciliasse poco in quei giorni di fronte alle notizie di morti e tragedie che si susseguivano senza soluzione di continuità. Ma c’è di più. Nel leggere le pagine di Pane, amore e pandemia, vi ritroverete come proiettati sul palcoscenico di una gustosa commedia brillante che, grazie ai personaggi, saprà ben mixare in voi lettori due stati d’animo apparentemente contrastanti tra loro, la sofferenza e, per l’appunto, la leggerezza. Questo è il più bel complimento che, fra gli altri, mi sento di fare a Loredana. Perché la sua scrittura è al limite di un vero e proprio copione teatrale che, con gli opportuni adattamenti e selezionando gli attori più rispondenti ai personaggi, può diventare uno spettacolo da portare sul palcoscenico di molti teatri italiani, in un tour che secondo la mia modesta opinione potrà avere un grosso successo, scriviamolo pure, commerciale!
Prima di concludere però, permettetemi di evidenziare altre caratteristiche del libro di Loredana.
In esso c’è poesia (il dialogo tra Mario e Fabio in terrazzo), svariati spunti che ti fanno andare con la mente a Chaplin (il monologo finale de Il Grande Dittatore), a Pasolini e Flaiano (sul potere ingombrante della televisione), citazioni di illustri pensatori che cascano a fagiolo sulla vivace trama che si sviluppa fin dall’inizio, per finire con la Letteratura (la lezione che Maria Cerasi improvvisa ai condomini travestiti da alunni), cioè a dire l’Arte che, durante la pandemia, ha rivestito un ruolo importante per contrastare il buio dell’anima.
Concludendo, la colonna portante del libro di Loredana io credo sia il dolore, anche il suo, ma non è un dolore fine a sé stesso, come pare descriverlo Pavese in alcuni suoi scritti. Fin dalle prime pagine, Pane, amore e pandemia va alla ricerca dell’umanizzazione nei rapporti tra gli uomini. Quel va tutto bene prima della pandemia, trasformatosi in piena emergenza in andrà tutto bene, è forse ancora lontano dall’essere realtà, come delineato all’inizio. Ma se vogliamo ancora credere alle favole, se desideriamo viverle veramente, allora è nostro compito cercare il vero significato del libro di Loredana. Ed è vero, come scrive Guido Galdino ad inizio libro, che Loredana è un fiore che sboccia, stavolta visto, più che visto. Per quanto mi riguarda, credo dunque che il significato sia racchiuso in ciò che Loredana è. Lei è un fiore che è visto grazie alla sua semplicità, che di questi tempi pare essere un oggetto misterioso. Scrivevo tempo fa che, personalmente, credo molto nella verità delle banalità. Non voglio certo dire che Pane, amore e pandemia sia un libro banale ma che, al contrario, sia un libro vero, banalità intesa cioè come verità, pagine dense delle sue stesse emozioni provate durante quel periodo e poi durante la stesura del libro, pagine educative. Emozioni e sentimenti che lei riesce a trasferirci come meglio non si potrebbe. Questo grazie al suo stile di scrittura ma credo anche grazie alla sua adesione a un principio basilare che ci ha insegnato la volpe del Piccolo Principe, non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi. E io penso che questo principio lei lo applichi in ciò che fa, non solo come autrice, in ciò che ha scritto, composto, ma nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni con gli altri, in primis con la sua famiglia. Mi sono emozionato molto a leggere e rileggere il suo libro, alcune parti poi lette più e più volte. Forse un altro grande complimento che mi sento di fare a Loredana è riconoscerle questo suo essere visionaria, non come persona che creda ingenuamente alle favole ma che riesca a concretizzarle in noi grazie al suo sentire d’artista, invisibile agli occhi ma non al cuore. Ed essere dei visionari concreti al giorno d’oggi è sicuramente un vantaggio per la società in cui viviamo e per il mio personale credo nelle favole. Se ognuno di noi sapesse essere ponte verso l’altro/l’altra così come lo è lei, allora sì… probabilmente vivremmo in un mondo migliore, sempre nell’attesa però che esso ritorni ad avere fiducia in noi, e noi, gli uni con gli altri.