Presentazione de

Le Geometrie Dismesse di Santina Lazzara mi hanno fatto sentire come dentro un labirinto, fatto di tanti puntini da unire tra loro e scoprire alla fine il disegno che salta fuori. Ricordo, tanti ma tanti anni fa, quando conobbi un vecchio saggio che sapeva disegnare la vita. Visitai la sua casa e alle pareti c’erano davvero tanti bei disegni incorniciati che avevano tracciato la sua esistenza. La casa di questo saggio era un museo in cui trovavano posto tutte le risposte alle domande che negli anni avesse posto alla vita. Gli chiesi quanto tempo fosse stato necessario per avere le risposte e lui mi rispose: “le ho avute solo una settimana fa!”. Sbalordito dalla sua risposta, gli chiesi come avesse fatto poi a riempire casa in così poco tempo con quei disegni, tutti incorniciati e tutti in perfetto ordine quasi geometrico. Mi rispose che in realtà aveva cominciato da ragazzo a tracciare la sua vita, e che quando si fermasse in attesa delle risposte che chiedeva, pareva difficile riuscire ad ottenerle. Così, ogni volta, tracciava tanti puntini su dei fogli, li incorniciava e li appendeva alle pareti della sua casa, in attesa che succedesse “qualcosa”. Credo sia questo, almeno per me, il mistero di Geometrie Dismesse di Santina. E sono sicuro che scoverò qualcos’altro leggendo e rileggendo le composizioni perché la poesia non permette mai di smettere di imparare. È dunque l’ATTESA (solo questa?) il Glorioso Mistero su cui si fonda Geometrie Dismesse? È essa un sentimento che si mischia poi ad altre incertezze e forse rimpianti, e che probabilmente sono sono gli stessi miei. Perché inevitabilmente gli artisti ti comunicano qualcosa e ti rivedi in ciò che fanno, scrivono, cantano, suonano, dipingono, scolpiscono, compongono.

Il tragitto verso una meta che “pare” sconosciuta in Geometrie Dismesse si apre con un prologo nel quale, di primo acchito, l’Autrice si presenta al condizionale, così:

Pare cioè, per l’appunto, che Santina fin dall’inizio indichi un accadimento o più che possono verificarsi solo se prima siano soddisfatte determinate condizioni. E subito ladomanda, a me, sorge spontanea: queste condizioni, premesse non sono state soddisfatte o non si sa ancora come soddisfarle?
Per come sono fatto, un simile esordio mi fa pensare e proietta dentro di me le medesime domande, e mi sento consolato perché attendo ancora personalmente tanti accadimenti che non so ancora se si potranno verificare, perché precedenti condizioni non sono state soddisfatte, e qui entra in gioco un altro elemento, la SPERANZA.
Il fil rouge comincia a crearsi dentro di me: ATTESA e SPERANZA. Ma c’è ovviamente di più.


C’è per esempio una foto (e non è l’unica) che accompagna da subito quel prologo e queste mie personali certezze. Una costruzione abbandonata, diroccata, vecchia che si erge subito dopo un filare di verde ingiallito.
Sembra quasi che l’artista con quel vorrei ma non posso e la “geometria dismessa” della costruzione, voglia subito preannunciare una sorta di decadimento psicofisico cui quasi sembra essere abituata, un rifiuto a capire la realtà e il conseguente rifugio nella poesia di cui consapevolmente sembra beneficiare perché non vuole avere responsabilità né obblighi di chiarire questo o quell’altro. E da qui in poi, ecco una serie di tracce tese ad infoltire (qui mi limito solo ad elencarne 6) il fil rouge accennato prima.

NOSTALGIA. In “Io c’ero” pare naturale per l’Autrice riscoprire di essere “solo entro i confini della mia pelle” e non sentire “le tue mani scivolarmi addosso (….) portando via lembi di memoria, perché io c’ero in quei giorni di pioggia (….) ma non ricordo più il tuo nome…..” Non so se sia una nostalgia e se lo è, se sia di sé o di qualcun’altra persona ma è indubbiamente forte questo sentire nostalgico che a mio modesto avviso si collega al prologo iniziale e può costituire una delle precedenti condizioni non soddisfatte. Il Fil Rouge pare dunque resistere: ATTESA, SPERANZA, NOSTALGIA.

SOLITUDINE. In “Specchi” ho la sensazione che l’Autrice faccia i conti con la sua solitudine. Ripeto, ho la sensazione, perché queste in fondo sono il mio riscontro intimo che ricavo dai versi di Geometrie Dismesse. Anche questa lirica è accompagnata, se si può dire, da un’immagine a fianco che mi sa di solitudine. Qui muri dissolti, un tempo forse perimetro di una casa o altro, impongono a Santina lo stare di fronte a “un muro senza specchi”, come fosse disperata la ricerca di un altro sé o chissà chi altro e che peregrinò nei “sogni scontati” da rimettere “sotto sale” perché sopravvivano. E a garanzia di ciò, “la luna usuraia chiede pegno alla notte perché permetta che la sua luce li illumini ancora. Questa per me, magari banalmente, è la chiusa di “Specchi” e dunque va ancora avanti il fil rouge che si arricchisce di nostra signora della solitudine, come ha già scritto qualcuno.

PERDONO. “Ti ho persa” per me rappresenta un pugno allo stomaco. È forse la lirica per cui non provo sensazioni ma certezze. In “in quelle lettere di scuse lavavo il tuo sorriso se muto di ogni offesa mi volesse ancora bene perché senza il tuo perdono non valeva le tue braccia e le tue mani tra i capelli come i miei” io ho rivisto me stesso e la mia personale spada di Damocle sulla testa che pende da più di un anno a questa parte e che non so se cadrà prima o poi. Anche la chiusa è tutta mia, “quanto sei bella” seguito da “in lista di attesa ti trovo”. Non c’è niente che non si addica a me e alla nostra favola mutata in tragedia in pochi mesi. Davvero un pugno allo stomaco!

CONSAPEVOLEZZA. Non potevo non soffermarmi a lungo anche su “Attese”. Sia in “Ti ho persa” che in “Attese” mi sono seduto a gustare una granita di caffè con panna insieme a Santina e ci siamo scambiati esperienze di vita vissuta. Anzi, ho parlato quasi esclusivamente io, lei mi ha ascoltato e poi nel tempo ha composto queste due sue liriche quasi dedicandomele. Credo quindi fermamente che un’analisi dei testi contenuti in GEOMETRIE DISMESSE possa prescindere, a volte, da commenti esplicitamente tecnici sulla poetica dell’autore/autrice, da paragoni con altri artisti nel campo della poesia, se assomiglia più a questo o a quella oppure ha inventato uno stile proprio. Qui la mia personale consapevolezza (mischiata a quella dell’Autrice) risiede sul fatto che un’artista dotata di grande sensibilità come la Lazzara conosce l’animo umano perfettamente, come sono adusi a conoscerlo gli autori anche dei secoli scorsi. Ed è questa per me la grandissima verità che mi consola tantissimo, poiché in essi la funzione didattica, di insegnamento, oltre che artistica con la quale abbiamo imparato a conoscerli, non viene mai meno, e di questo gliene (le) siamo grati.

SIGNIFICATO. Qual è il significato delle parole criptate di Santina con cui ha composto e fotografato le sue GEOMETRIE DISMESSE? Cosa cioè ci vuole comunicare l’Autrice? “dire resistenza (…) è una carezza a dispetto di sguardi indiscreti e per le cose che non vogliamo sentire (…) la rosa di questa fioritura ha da insegnarci l’ostinazione contrapposta al cemento (…) …”. In Oleandri, ma in tutte le liriche di GEOMETRIE DISMESSE, l’Autrice pare si diverta a non farci capire, o forse a disorientarci. Ma cosa c’è di più amorevolmente coinvolgente nell’Arte del “non capire”, del perdere l’orientamento passo dopo passo immergendoci in quel mondo fatato? Anche Oleandri sembra scritta apposta per me. Il “disorientamento” che ci provoca GEOMETRIE è in realtà il primo passo verso il meraviglioso mistero di chi ha serrature ove entrano le tue chiavi e chiavi che aprono le tue serrature (R. Bach). “dire resistenza” sono le due paroline che mi hanno fatto precipitare nella mia personale anamnesi, serratura chiusa in attesa di chiavi che la aprono. La resistenza di Santina è
forse il mio banale resistere per ri-esistere. Con lei diventa il tenue “profumo tenace dell’oleandro, ostinazione contrapposta al cemento, alle intemperie del tempo, alla crosta di questa paura”. Sì, io mi riconosco totalmente in tale SIGNIFICATO!

  

Chiudo con PONTE. Rappelés, scritta in francese, è quel ponte sull’eternità (ancora Richard Bach mi viene in soccorso qua) che si accompagna ad un’altra immagine a fianco e in cui mi sembra di scorgere Santina che si dirige verso un’entrata ad arco di una ulteriore geometrica costruzione dismessa. Di fronte all’immensità del cielo, sono un puntino che guardo i miei sogni migrare verso chissà dove, fatti ancora una volta di speranze e nuvole colme di segni premonitori. È l’augurio e la conclusione (ma crado sia in realtà una ulteriore ripartenza) del viaggio di Santina in GEOMETRIE DISMESSE.

Il disegno che vien fuori dall’unione di tutti i puntini di vita tracciati dalle composizioni poetiche della Lazzara è una sorta di punto di incontro in cui le attese, le nostalgie, le solitudini, il perdono, le consapevolezze trovano significato nella speranza. È questa a sublimarsi poi in ripartenza sul ciglio di quel ponte che dobbiamo percorrere fino alla fine del nostro viaggio o quasi. Quando poi, come mi disse quel vecchio saggio, tutto apparirà compiuto e anche noi avremo la nostra galleria di disegni che saranno la nostra Vita!
E come mi scrive Santina nella sua dedica sul libro, bastano davvero 4 zampe e due ali per sentirsi appagati (io aggiungo DI FELICITÀ) … CREDIAMOCI!

... alcune foto delle "Geometrie Dismesse" contenute nell'antologia...

Per chi fosse interessato ad approfondire il mondo di Santina Lazzara:

https://siousy.blogspot.com/

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