Il Signor F. è morto in treno e altre storie di Maria Greco - Mise en Scène Compagnia G.o.D.o.T. Ragusa

Tra gli eventi culturali andati in scena a Ragusa in quest’ultimo periodo, il generoso buon pastore Nicola Piovani in “Viaggi di Ulisse” e l’infernale “Inferno di Dante” presso Cava Gonfalone, a me piace soffermarmi ancora una volta sulla Compagnia G.o.D.o.T. e su “Il Signor F. è morto in treno e altre storie” di Maria Greco, narrato qualche domenica fa all’Ideal. Scrissi lo scorso secolo a proposito del tempo tiranno che “lui, se tu lo sai, è un maledetto medico, ti tenta e poi se tenti tu non tanto tempo ti darà”. La prima scena che mi si è presentata agli occhi de “Il Signor F. è morto in treno” mi ha riportato indietro nella memoria (ma vah…) alla mia gioventù (o presunta tale), quando credevo di poter dominare il tempo, salvo accorgermi fin da allora che tra noi e il tempo non c’è e non ci sarà mai partita. Non ho letto il libro di Maria però credo che il teatro svolga una funzione sacra in questi casi. Se poi la funzione è svolta sotto lo sguardo, le mani, gli occhi, il cuore esperti di Vittorio Bonaccorso, Federica Bisegna e gli allievi della Compagnia G.o.D.o.T. allora nessuno può mettere in dubbio la sacralità dell’azione che si svolge, come si è svolta, sul palcoscenico dell’Ideal. Non posso aggiungere altro alla lettura che de “Il Signor F. è morto in treno” ha fatto Vittorio in qualità di scenografo e regista, come sempre attento (anche per la scelta delle musiche, mentre i costumi sono di Federica Bisegna), ambedue illuminanti ed illuminati. Le rotaie su cui scorre la vita non potevano essere apertura migliore per questo “gioco ironico” che per me l’autrice, già dal titolo che ha dato alla sua opera, fa della memoria, della consapevolezza, del rimpianto, delle paure, dei sogni e di mille altri stati soggettivi che oggi affiorano sempre più lungo i nostri molteplici orizzonti, in ordine sparso, e nei confronti dei quali il sorriso è la migliore risposta che si può dare senza tema di smentita. Eccoci subito in una cabina di un vagone ferroviario in cui il “solitario” Signor F. passa al creatore con un ciak reso ab initio “assurdo” da una innumerevole scala di disvalori che ne mortificano gli estremi onori; diamo il benvenuto al calzolaio lettore (per me una denuncia sullo spazio limitato di cui oggi gode la cultura a beneficio del ritmo lavorativo sempre più incalzante e di altri “passatempi” che ci riducono ancor più in ignarus bestias) e il suo difficile rapporto con il libro della sua vita -dalle cui pagine fuoriescono e vivono altri personaggi che ne ingolfano la passione-. Poi Alcesti, dove l’autrice compie un prodigioso balzo nel profondo dell’Ade, personale intimo di ciascuno di noi quando, senza speranza, scegliamo di bere l’amaro calice nel dialogo finale con l’ombrosa anima che è altri e noi al tempo stesso, nell’attesa di un Salvatore insperato. Con “Ipocondria” e “Ravanello” mi è sembrato di stare dentro un teatro sognante e -mi si perdoni l’accostamento- a volte machiavellico ma mai noir, che con ritmo musicale e movenze scenografiche in tinta con le passioni dei personaggi si tuffa nell’ordinaria follia dei nostri giorni da cui ci si vuol separare (?) per l’appunto, proprio con il paradosso onirico che in alcuni micro frangenti mi ha personalmente riportato alle atmosfere de Il Marinaio di Pessoa (specie in Ravanello). Ed è questo il mio intimo fil rouge che lega tra loro i vari momenti de “Il Signor F. è morto in treno e altre storie” trasferito sul palco dalla Compagnia G.o.D.o.T. e dai suoi impareggiabili condottieri ed interpreti, i quali ogni volta maneggiano il tema in questione con la sagacia e la professionalità di un artigiano attento e scrupoloso, proteso verso i più piccoli particolari, a cominciare dalle mille e più espressioni che il viso di un vero Attore deve assumere nel corso di una rappresentazione, maschere che catturano subito gli occhi del pubblico e lo catapulta, rapito, nel cuore narrativo della pièce messa in scena. È proprio grazie a questa dote GODOT, a questa “materia prima vivente” recitante sul palco che ciascuno di noi spettatori riesce ad arguire ed elaborare le sue “conclusioni emotive e di pensiero” quando si imbatte in uno scrittore (in questo caso scrittrice) che non conosce e/o conosce tramite l’intermediazione scenica e teatrale. Questa è la Sacralità del Teatro dove “ogni battito di cuore di un singolo spettatore è pari dal punto di vista critico, emotivo e didattico” a quello degli altri, e tutti si diventa co-pratagonisti sul palco insieme agli attori, grazie agli autori e a chi si occupa de la mise-en-scène delle loro opere. Il treno di immagini, di pensieri e moniti della Greco che lievita nei sorrisi termina in noi all’interno di una stazione in cui non c’è spazio per l’indifferenza, meta finale del viaggio che vieta di estraniarsi da quel che c’è fuori. Mentre il treno è in viaggio, è di fondamentale importanza fermarsi presso ciascuna piccola stazione, scendere e diventare un tutt’uno con ciò che ci circonda e con la nostra coscienza che lotta ogni giorno per divenire sempre più cosciente. L’ite missa est teatrale, così come nella materia ecclesiastica, non è la fine del viaggio ma la continuazione del medesimo da cui, a cominciare dal Teatro, riceviamo tickets emotivi e culturali, una dote che non possiamo non far fruttare dentro di noi. È una responsabilità che ci perviene, in questo caso e come sempre, da Maria Greco, da Vittorio, Federica, dalla Compagnia G.o.D.o.T.! E dunque ite, Theatrum est, et in Ragusa!  

Roberto Farruggio

Ragusa 10/06/2019      

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